Volevo essere me stessə
Storie di (in)dipendenza e neurodivergenza. Dal libro "Strano diario" di Irene Sarpato, passando da Simone De Behaviour e l'importanza di rialzarsi da solə, senza bisogno di salvezza dall'esterno.
Spero sia arrivata la reference del titolo alla canzone “Volevo essere un duro” di Lucio Corsi. Mi piace questo suo riuscire ad essere autentico all’interno di un sistema. Riesce a essere flessibile senza tradirsi o snaturarsi. Lo reputo sintomo di consapevolezza di sé e radicamento come individuo.
Dopo qualche mese in cui ho dato la priorità a un profondo lavoro interiore, oltre a una ripresa fisica non semplice dopo un incidente, la newsletter tornerà ad uscire ogni due venerdì.
Condivido un pezzo della mia esperienza di (in)dipendenza perché penso possa essere funzionale per trattare l’argomento in maniera più ampia e perché credo nel dare vita a un rapporto il più possibile sincero con chi legge questa newsletter. Informazioni e dati da un lato, ma anche una buona dose di vita vera e esperienze dall’altro.
A volte l’unico modo che abbiamo per uscire da una situazione di dipendenza è quello di decidere di spezzare uno schema che ripetiamo da sempre, da generazioni, farcene carico, prendercene la responsabilità (quindi non puntare il dito) e smettere di ricoprire il ruolo della vittima. Molte altre volte siamo totalmente immersə in quella condizione e non ce ne rendiamo conto, è qui che sorgono problematiche più gravi.
Di recente mi sono ritrovata a letto per un mese con il bacino rotto e totalmente dipendente da chi mi stava attorno, non avevo nemmeno l’autonomia per andare in bagno, non potevo lavorare e quindi guadagnare perché sono un p.iva. In quella condizione ho determinato che avrei coltivato per tutta la mia vita una condizione di indipendenza, che parte da uno stato vitale interiore, ma si concretizza nelle azioni che compio.
Per questo il mio impegno, oggi, è quello di adoperarmi per aiutare altre persone, che vivono una condizione simile, a intraprendere questo strada verso l’autodeterminazione. Non ho nulla da insegnare, solo un percorso da condividere, strumenti da utilizzare e ricercare, un supporto sincero e il più possibile informato da dare.
Mi viene in mente Simone De Behaviour, che ne “Il secondo sesso”, celebre saggio pubblicato a metà Novecento, spiega come la donna indipendente non si accontenta di aver ricevuto una tessera elettorale e qualche libertà di costume, ma ambisce a una libertà più ampia attraverso “il lavoro, l’indipendenza economica e la possibilità di autorealizzazione che ne deriva, sino alla liberazione del suo peculiare genio artistico, zittito dalla Storia”. “Solo così riuscirà a chiudere l’eterno ciclo del vassallaggio e della subalternità al sesso maschile.”
Succedeva nel 1949, se le sue parole sono attuali 76 anni dopo.
Godere di una propria autonomia economica non è sempre sinonimo di autonomia affettiva. Conosco donne coraggiose, innovative, creative e forti che si fanno piccole nelle relazioni sentimentali.
Smettono di vedersi e sono guidate dalla necessità, quasi viscerale, di vedere riconosciuto il proprio valore dall’altro. Lo identificano nella coppia, in ciò che è fuori da loro. Conosco bene queste sensazioni perché le ho vissute e lotto un po’ ogni giorno per non farmi assorbire da questo atteggiamento comune.
Non basta decostruire, quello viene dopo. Il primo passo penso sia intercettare questa tendenza e diventarne consapevoli. Vedendo con lucidità la situazione sarà possibile decidere di trasformarla. Con tutte le difficoltà che questo comporta.
Fare tutto questo lavoro da sole, è un lavoro appunto, non è semplice. Si tratta di un investimento su se stessə e la frenesia della vita, tra figli, parenti di cui prendersi cura, carriera, altri problemi di salute o economici, per esempio, spesso ci allontana più che avvicinarci a noi stesse. Allora ci raccontiamo che va bene così, che troveremo il tempo per occuparcene. Per occuparci di noi.
Intanto queste credenze interiorizzate, frutto di un contesto socio-culturale in cui viviamo e dal quale proveniamo, decidono per noi e il tempo passa. Per questo è importante che se ne parli, che si creino luoghi di confronto e chi ha ruoli di responsabilità di qualsiasi tipo, come nel lavoro, se ne faccia carico. Perché cambiando le cause del presente, cambieremo anche gli effetti del futuro.
Ho cercato informazioni ufficiali e dati sulla dipendenza affettiva in Italia, ne trovo sulla violenza di genere e non sempre aggiornati, così ho fatto una ricerca nella National Library of Medicine, un sito ufficiale del governo degli Stati Uniti. Secondo la ricerca “Dipendenza emotiva e narcisismo nelle relazioni di coppia: Sindrome di Eco e Narciso” , che ha ha incluso 271 soggetti (144 donne e 127 uomini) di età compresa tra i 18 e i 66 anni, il partner scelto, dalla persona che soffre di dipendenza, tende a essere manipolatore, crede di essere superiore e adotta una posizione dominante nella relazione, aspettandosi una posizione più sottomessa dall'altra persona.
Possiamo supportarci tra di noi, sostenerci, ma non delegare questa ipotetica salvezza all’esterno.
Siamo in potere e abbiamo il potenziale. E qui mi collego a un libro di ispirazione, “Il senso del potere” di Alice Siracusano. Con la quale avevamo registrato una diretta un po’ di tempo fa, la trovate qui:
Non siamo eroine, siamo esseri umani che lottano per autodeterminarsi e riconoscere la dignità della propria vita, che è il prerequisito essenziale per riconoscere quella degli altri.
Questa consapevolezza, condizione interiore, si riflette in ogni cosa che facciamo e in tutti i tipi di relazioni che abbiamo: lavorative, sentimentali e amicali.
Passiamo ora alla recensione del libro “Strano diario” scritto da Irene Sarpato, DEI Expert e Advisor della Fondazione Billion Strong, che ho avuto modo di conoscere durante un’intervista per Dealogando un paio di anni fa in cui parlavamo di disabilità visibili e invisibili sul luogo di lavoro.
Una delle prime frasi che leggo e mi colpisce è “Perché dobbiamo tutti rientrare in una media in ogni cosa? Questo è strano, non il fatto di avere capacità e preferenze diverse.”
Ottima domanda. Il libro racconta le vicissitudini nel lavoro e nella vita privata di una donna che scopre di essere neurodivergente. Qui faccio un elenco di quelli che secondo me sono punti cruciali su cui riflettere:
il tempo libero vissuto come senso di colpa
la diversità vista come difetto, invece che come opportunità
la difficoltà di costruire e coltivare un dialogo sincero e rispettoso nel contesto lavorativo che possa permetterci di migliorarci. Sarpato nel libro infatti fa riportare alla sua protagonista la seguente affermazione: “O si fanno i complimenti o si fa lo shampoo”
la collaborazione e l’ascolto tra diverse generazioni
saper riconoscere un burn out e dare il giusto valore a questa esperienza
l’importanza delle piccole cose ( e qui Sarpato cita i Tiromancino, con la canzone “I giorni migliori”, che non posso fare a meno di condividere. Sono stati tra i miei cantanti preferiti dell’adolescenza)
Poi, la protagonista riflette anche su come lavorare per accumulare denaro non porti valore nella sua vita, ma sia comunque indispensabile e le permette di pagare il mutuo ed essere una donna indipendente.
Se ti interessa il tema dell’indipendenza, ti consiglio anche questa recente intervista a Lucille Ninivaggi, imprenditrice e mamma single. Discutiamo delle difficoltà che derivano dall’essere una madre lavoratrice con una propria attività in una città che offre, ma chiede anche tanto come Milano.
Ci diamo appuntamento il venerdì 27 febbraio la mattina, sto valutando se continuare ad approfondire temi di attualità in questo modo o tornare alla versione originale della rassegna stampa.
Grazie Vanessa 🥰 mi sa che ne riparleremo, di indipendenza e di soldi, tieniti pronta ;) ti abbraccio forte